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Autore: GERARDO CONSIGLIO 26 set, 2023
Il taglio degli arretrati civili tra aspettative "drogate" e realtà
Autore: GERARDO CONSIGLIO 23 ago, 2023
Opporsi alle cause "sbattute" fuori dal processo. Contro il 185 bis c.p.c.
Autore: GERARDO CONSIGLIO 06 ago, 2023
In difesa degli interessi degli avvocati
Autore: GERARDO CONSIGLIO 18 lug, 2023
Se vuoi iscriverti all'ordine paga la Cassa Forense
Autore: GERARDO CONSIGLIO 18 lug, 2023
Il tempo della giustizia Non c’è riforma che tenga, ogni legge di riforma del processo civile, sconta un vizio di fondo la carenza di organico dei magistrati. Almeno nel tribunale di Foggia, ed al civile; ma anche nel penale la situazione non è diversa. L'idea che ispira ogni progetto è connotato dagli attributi efficienza e rapidità, la prima mutuata dal gergo delle imprese del tutto inconferente ad attività di giustizia, la seconda senza tanta fantasia è stata coniata quale termine opposto a lentezza tipica di ogni sistema burocratico. Ovviamente nell'opposizione vale il secondo termine e non il primo: la giustizia è lenta, anche se non è colpa dei giudici, almeno secondo l'opinione di chi scrive. Invece per altri colleghi i giudici sono responsabili della situazione SEGUE……
Autore: GERARDO CONSIGLIO 29 mar, 2023
In nome del Popolo Italiano La corte d’appello di Bari – Seconda Sezione Civile, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei magistrati: 1) Dott. Egiziano di Leo - Presidente relatore 2) Dott. Matteo Antonio Sansone - Consigliere 3) Dott.ssa Maria Teresa Giancaspro – Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA n. 1034/2019 nella causa civile di appello avverso la sentenza n. 969 emessa dal tribunale di Foggia ( Ex Tribunale di Lucera). In composizione monocratica, il 27 novembre/2 dicembre 2014, iscritta al n. 320 R. Gen. 2015; Oggetto: opposizione di terzo ex art. 619 e opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. TRA ***************************, in proprio e quale erede universale di ****************, e **********************, rappresentati e difesi, in forza di mandato a margine dell’atto d’appello, dagli avvocati Pasquale e Gerardo Consiglio, ed elettivamente domiciliati presso lo studio legale dell’Avv. Vito Aurelio Pappalepore, in Bari; APPELLANTI ******************************************., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Paolo Pepe, in forza di mandato in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Antonio Caterino; APPELLATA All’udienza collegiale del 16 novembre 2018 la causa viene assegnata a sentenza sulle seguenti conclusioni, formulate dai procuratori delle parti: per gli appellanti: l’avvocato Consiglio deduce che, con sentenza n. 632 del 31 gennaio 2018 passata in giudicato, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado e, richiamando diverse decisioni della Corte di cassazione, ha ribadito che la liberazione dei fidejussori dall’obbligo di pagamento posto a carico dello Stato è avvenuto a seguito della legge n. 237 del 1993; si riporta alle precedenti difese e conclusioni, chiedendo il rigetto delle avverse eccezioni; per l’appellata: l’avvocato Paola Liocchetti, in sostituzione dell’avvocato Pepe, si riporta a tutte le conclusioni rassegnate. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 619 c.p.c. depositato all’udienza del 23 marzo 2009, i sigg.ri**********************************proponevano opposizione di terzo nell’ambito della espropriazione forzata di cui alle procedure esecutive immobiliari riunite n. 178/92 e n. 52/2006, pendenti davanti al tribunale di Lucera, riguardanti il credito complessivo di £ 655.921.763, azionato dal Banco di Napoli in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Foggia in data 28 aprile 1988 in danno della società cooperativa*********************e dei soci fidejussori, tra i quali gli espropriati sigg.ri**********************************coniugi, rispettivamente dei sigg.ri **********************************. Le opponenti chiedevano che, previa sospensione della procedura esecutiva e fatta salva la nullità del pignoramento concernente gli immobili di cui al rogito per notar Bandini,(1) venisse accettato che tutti i beni pignorati erano di pertinenza della comunione legale; (2) fosse statuito che il titolo posto a base dell’espropriazione forzata riguardava garanzie personali prestate dai germani********************************** quali fidejussori della società cooperativa **********************************, in favore della banca ***************************, e che pertanto il credito azionato dalla banca*****************************, subentrata a quest’ultimo, da un lato, era estraneo alla comunione legale e, dall’altro, era da considerarsi estinto in forza della legge n. 273/93; (3) fosse dichiarato che i beni della comunione legale non erano assoggettabili ad esecuzione forzata per crediti estranei alla stessa e, in subordine, che l’esecuzione poteva avere luogo, previa escussione del patrimonio personale del debitore, limitatamente alla sua quota. Si costitutiva in giudizio la banca ***********************, quale mandataria e procuratrice *******************************, cessionaria del credito, opponendosi all’accoglimento dell’istanza di sospensione e chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con ordinanza in data 7/14 dicembre 2009, il Giudice dell’Esecuzione accoglieva la richiesta di inibitoria, limitatamente ai lotti n. 2 e n. 3, ed emetteva contestualmente separato provvedimento con cui si disponeva la vendita dell’immobile di cui al lotto n. 1, compensando integralmente le spese del procedimento incidentale e assegnando termine per l’introduzione del giudizio di merito. Avverso tale ordinanza proponevano reclamo , ai sensi degli artt. 624 e 669- terdecies c.p.c. , i sigg.ri*****************************, con ricorso in data 29 dicembre 2009, chiedendo la sospensione della procedura esecutiva anche con riferimento al lotto n. 1. Al reclamo resisteva la banca *****************, nella spiegata qualità chiedendone il rigetto. Con comparsa del 27 gennaio 2010, si costituivano i debitori esecutati ***********************, facendo proprio quanto dedotto dalle rispettive mogli, sia in sede di opposizione di terzo che nell’ambito della procedura di reclamo. Precisavano che, con sentenza n.5454 del 10 settembre 2009, il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello da essi proposto, unitamente agli altri fidejussori della fallita società cooperativa***************, aveva stabilito il principio secondo cui : “l’assunzione a carico del bilancio dello Stato delle obbligazioni di garanzia di cui alla L. n. 273/1993 e la relativa facoltà dello Stato delle obbligazioni di garanzia di cui alla legge n. 237/1993 e la relativa facoltà dei creditori di reclamare l’adempimento da parte dello Stato si verificano “ope legis” nel concorso dei requisiti fissati dalla norma…..”. Con ordinanza depositata il 4 marzo 2010 il Collegio rigettava il reclamo. Nel frattempo, le opponenti, con atto di citazione notificato il 05 gennaio 2010, provvedevano all’introduzione del giudizio di merito, nel quale si costituiva la banca *********************** , per chiedere il rigetto dell’opposizione. Si costituivano, altresì, i debitori esecutati Sigg.ri **********************************con comparsa depositata il 23 aprile 2010, riportandosi a tutto quanto già dedotto in sede id reclamo e assumento, tra l’altro, che, a seguito della ciatata sentenza del Consiglio di Stato, erano in corso con il Ministero delle Politiche Agricole trattative per l’assunzione a carico dello Stato del credito in excutivis dalla banca, ai sensi della legge n. 237/1993. Intanto, nell’ambito della procedura di espropriazione forzata, con ordinanza del 18/20 maggio 2014 il Giudice dell’Esecuzione- rilevato (a) che dalla nota in data 14 ottobre 2013 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, si evinceva che le garanzie prestate dai soci della società cooperativa****************, tra cui i germani ************************, erano state inserite nell’elenco allegato al D.M. del 1995, (b) che con sentenza n. 802 del 2012 il Tribunale di Roma aveva accertato il diritto dei soci garanti ad esigere l’assunzione della garanzia per legge dello Stato, avuto riguardo alla prestazione della fidejussione del 1986, condannando il Ministero al risarcimento dei danni; (c) che, con nota del 16 ottobre 2013, il Ministero aveva comunicato che la messa a disposizione delle somme necessarie per l’estinzione del debito sarebbe avvenuta solo con il passaggio in giudicato della richiamata sentenza, confermando l’iscrizione nell’apposito elenco dei soci garanti e l’applicabilità dell’art. 126, comma 4, L. n.388/2000, in forza del quale, le procedure esecutive nei confronti dei soci garanti, inseriti in detto elenco, erano sospese sino alla comunicazione da parte del Ministero della messa a disposizione delle somme occorrenti da parte delle P.A. Con sentenza n. 969 del 27 novembre / 2 dicembre 2014, il Tribunale di Foggia (ex Tribunale di Lucera), in composizione monocratica, decidendo definitivamernte sull’opposizione esecutiva, così statuiva: < >. Avverso tale pronuncia proponevano appello, con atto di citazione notificato il 27 febbraio 2015, ***********, in proprio e quale erede universale di **************, e **********************, reiterando le deduzioni, richieste e conclusioni formulate in primo grado, e chiedendo che, in totale riforma dell’impugnata sentenza, fosse accolta l’opposizione, con la conseguente declaratoria di nullità ed inefficacia dei pignoramenti con cui avevano avuto inizio entrambe le procedure esecutive. Chiedevano, altresì, che venisse emesso ogni conseguenziale provvedimento di legge finalizzato alla cancellazione delle procedure esecutive n. 178/92 e n. 53/06 e delle trascrizioni dei relativi pignoramenti. Chiedeva, infine, la condanna della banca appellata alla restituzione dell’importo di € 6.620,00 pagato da esse appellanti per le spese liquidate dal primo giudice; il tutto con vittoria delle spese e competenze del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore dei difensori antistatari. Costituitasi in giudizio, la banca ******************************, eccepiva, preliminarmente l’inammissibilità dell’appello e contestava, nel merito, la fondatezza dello stesso, chiedendone il rigetto, con ogni conseguenza di legge in ordine alle spese. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità ex art. 348 c.p.c. sollevata dalla società appellata, all’udienza collegiale del 16 novembre del 2019 la causa, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva assegnata a sentenza. - MOTIVI DELLA DECISIONE – In via preliminare, deve essere esaminata, per evidente ragioni di priortà logico- giuridica, l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, sollevata dalla società appellata. Assume quest’ultima che gli appellanti avrebbero erroneamente citato nel presente giudizio la banca ******************************, sia pure nella sua ( non più esistente) qualità di mandataria della banca ******************************; la medesima banca, nell’indicata qualità, è stata poi destinataria della notificazione dell’atto di appello. Secondo l’appellata, gli appellanti avrebbero dovuto convenire nel giudizio di appello, non già la parte rappresentata ( vale a dire, la mandataria e procuratrice, banca ********************************), bensì la parte rappresentata ( la mandante, banca ************************ ), ossia la parte sostanziale del rapporto processuale. Da ciò conseguirebbe l’inammissibilità della impugnazione, per essere la sentenza impugnata ormai passata in giudicato, stante il decorso anche del termine breve decorrente dalla sua notifica (28 gennaio 2015), e, comunque, della notifica dello stesso atto di appello. L’eccezione è infondata e va, pertanto, disattesa. Costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui la mancanza nella citazione di tutti i requisiti indicati dall’art. 164, primo comma c.p.c. e, quindi, tutti gli elementi integranti la vocatio in jus, non vale a sottrarla( anche se trattasi di citazione in appello) all’operatività dei meccanismi di sanataria ex tunc previsti dal secondo e terzo comma della medesima disposizione. Ne consegue che, quando la causa, una volta iscritta al ruolo, venga chiamata all’udienza di comparizione (che, per la mancata indicazione dell’udienza, deve essere individuata ai sensi dell’art 168-bis, quarto comma, c.p.c.), il giudice, anche in appello, ove il convenuto non si costituisca, deve ordinare la rinnovazione della citazione, ai sensi e con gli effetti dell’art. 164, primo comma, c.p.c., mentre se si sia costituito deve applicare l’art. 164, terzo comma, c.p.c., salva la richiesta di concessione di termine per l’inosservanza del termine di comparizione (cfr . Cass. n. 22024/09; n. 12719/16; n. 13079/19). In coerenza con tale principio, persino la “vocatio in ius” di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti sia succeduto un altro soggetto, resta sanata per effetto della costituzione in giudizio di quest’ultimo, trattandosi di un vizio meno grave rispetto a quello da cui è affetta la “vocatio” mancante dell’indicazione della parte processuale convenuta, che è sanabile mediante costituzione in giudizio di chi, malgrado il vizio, si sia riconosciuto come convenuto. La predetta sanatoria opera indipendentemente dalla volontà del convenuto ed a prescindere dal contenuto delle difese svolte in concreto dal medesimo convenuto (cfr., Cass. n. 14066/08; n. 20650/09; n.6202/14). Sembra opportuno premettere che il Tribunale ha rigettato l’opposizione ex art. 619 c.p.c., proposta da *************e *********** seguendo due diversi percorsi argomentativi: l’uno, riguardante in modo specifico i limiti dela legittimazione attiva spettante alle opponenti e l’altro, concernente l’inammissibilità di taluni motivi di opposizione, perché dedotti tardivamente. Quanto al primo profilo, il Tribunale ha negato la legittimazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 1 bis, della legge n. 237 del 1993, dell’obbligazione fidejussoria prestata dai coniugi delle opponenti, *******************e **************, a garanzia di un debito della società cooperativa ******************************* a favore, e posta a fondamento dell’azione esecutiva intrapresa dalla banca ***********************, richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinato dagli artt. 619 e ss. C.p.c., il terzo opponente non è legittimato ad eccepire i vizi della procedura esecutiva ovvero ad impugnare la validità del titolo posto a base di essa e, comunque, a contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata, vale a dire a far valere doglianze relative al rapporto obbligatorio tra esecutante ed esecutato, essendo egli estraneo a tale rapporto (cfr. Cass. n. 3628/80; n. 10810/00; n. 8397/09). Ha pure escluso che le terze opponenti – e gli stessi debitori esecutati – siano legittimate ad eccepire l’impignorabilità dei terreni di cui al lotto n. 1) del bando di vendita per non essere detti fondi rustici, alla data del pignoramento, ancora di proprietà degli esecutati, avendoli quest’ultimi acquistati non espressa riserva di proprietà a favore della venditrice, Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina; e tanto in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale riconosce la legittimità ad esperire il rimedio di cui all’art. 619 c.p.c. unicamente all’alinenante dell’immobile con patto di riservato dominio (cfr. Cass. n. 4000/06). Quanto al secondo profilo, il Tribunale ha disatteso le ulteriori eccezioni sollevate dalle terze opponenti, volte a far valere l’estraneità alla comunione dei debiti posti a fondamento dell’azione esecutiva e la mancata preventiva escussione dei beni personali dei coniugi debitori, ai sensi dell’art. 189, comma 1, c.c., sostenendo che si trattava di nuovi motivi di opposizione, formulati per la prima volta nella memoria istruttoria del 10 giugno 2010, come tali inammissibili, perché tendenti ad una “mutatio libelli” non consentita. Il primo giudice ha, infine, ritenuto che le argomentazioni svolte nei confronti delle opponenti ex art. 619 c.p.c. valgano anche nei riguardi dei debitori esecutati, i quali, “costituitisi tardivamente…., si sono limitati ad aderire alle conclusioni rassegnate dalle opponenti nell’atto di citazione”. Va, innanzitutto, premesso che nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, ex art. 619 c.p.c., il debitore esecutato è litisconsorte necessario in senso sostanziale e processuale ( cfr., ex plurimis, Cass. n. 1911/75; n.6156/79;n.6333/99; n.9645/00;14463/03). Costituisce, poi, ius receptumil principio secondo cui, ai sensi dell’art.268, comma 2, c.p.c, il terzo che interviene spontaneamente in giudizio per integrare il contraddittorio può compiere tutte le attività per cui è legittimato, senza subire le preclusioni già maturate in danno delle parti. In applicazione di siffatto principio, deve ritenersi che il litisconsorte necessario, inizialmente pretermesso e successivamente intervenuto o chiamato in causa, possa proporre ogni tipo di eccezioni e qualsiasi domanda che reputi utile per tutelare i propri diritti. Invero, il terzo litisconsorte pretermesso avrebbe dovuto essere presente in giudizio fin dall’inizio e deve, pertanto, essere posto nella condizione di esercitare tutti i poteri che avrebbe potuto esercitare, ove fin da subito fosse stato attuato il contraddittorio nei suoi riguardi. Nella specie, i debitori esecutati, ***********************************, furono inizialmente pretermessi e, dopo essere intervenuti nella fase cautelare dell’inibitoria, in sede di reclamo al Collegio avverso il provvedimento di accoglimento parziale dell’istanza di sospensione emesso dal G.E., per sostenere le ragioni delle terze opponenti, si costituirono nel giudizio di merito, con comparsa depositata il 23 aprile 2010, riportandosi alla comparsa prodotta in sede di reclamo e associandosi a tutte le richieste, eccezioni e difese formulate dalle opponenti ex art.619 c.p.c. Nell’occasione, precisavano che, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n.5454 del 10 settembre 2009, erano in corso trattative con il Ministero delle Politiche Agricole per l’assunzione, ex legen.237 del 1993, a carico dello Stato del credito della banca azionato in executivis in danno di essi fideiussori. Nel prosieguo del giudizio, i germani *****************depositavano in data 7 luglio 2010 memoria ex art.183 c.p.c., con la quale, oltre a confermare la piena condivisione con quanto dedotto e richiesto dalle rispettive mogli, terze opponenti, dichiaravano che era pendente davanti al Tribunale di Roma un giudizio diretto a stabilire l’accollo al bilancio dello Stato del debito scaturente dalle “fideiussioni azionate con il decreto ingiuntivo posto a base della opposta esecuzione immobiliare”, producendo, in copia, la lettera inviata il 27 maggio 2010 al Ministero delle Politiche Agricole e agli altri componenti del Governo, la nota di riscontro in data 11 giugno 2010 da parte del suddetto Ministero e la citazione da essi proposta in danno del Ministero, introduttiva del giudizio pendente davanti al Tribunale di Roma. All’udienza del 2 maggio 2012, i debitori esecutati producevano in giudizio copia della sentenza del Tribunale capitolino n.802/2012, il quale, investito della vertenza relativa alla mancata applicazione della legge n.237/93 all’esito della citata pronuncia del Consiglio di Stato n.4545 del 2009, aveva disposto l’accollo al bilancio dello Stato delle fideiussioni rilasciate anche dai germani *****************, in favore della fallita società cooperativa******************, nell’interesse del banco ********************(a cui è subentrata la *************************), condannato il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali all’adempimento delle obbligazioni nascenti dalle fideiussioni medesime, mediante manleva dei garanti dal pagamento di quanto dagli stessi dovuto, oltre il pagamento, in favore di ciascuno degli attori, della somma di € 90.000,00 a titolo di risarcimenti dei danni. Alla successiva udienza del 19 dicembre 2012, i debitori esecutati producevano copia dell’ordinanza in data 17 ottobre 2012, con la quale era stata rigettata l’istanza di inibitoria proposta dall’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del suddetto Ministero, dalla Corte d’Appello di Roma ( la quale, con successiva sentenza del 31 gennaio 2018, rigettava l’appello, confermando l’impugnata sentenza). Infine, all’udienza del 17 dicembre 2013 i germani *********** producevano copia del Decreto ministeriale del 14 ottobre 2013, con il quale le garanzie prestate dai soci fideiussori della società cooperativa **************** in favore del banco ***************(poi, banca *************** ed ora banca *****************) vennero “inserite nell’Elenco n.1 allegato al Decreto Ministeriale 18 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.1 del 2.1.1996 in coda a tale Elenco”. Tanto puntualizzato, ritiene la Corte che – contrariamente a quanto sostenuto dalla odierna appellata e opinato dal Tribunale – i germani, **************************, debitori esecutati pretermessi e litisconsorti necessari, intervenendo volontariamente nel giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione instaurato dalle rispettive mogli, ************************************, per integrare il contraddittorio, e riportandosi alle eccezioni e richieste formulate da queste ultime, delle quali chiedevano l’accoglimento, abbiano a loro volta inequivocabilmente proposto opposizione, ex art.615 c.p.c., all’esecuzione immobiliare intrapresa dalla banca *****************. In particolare, facendo proprio il motivo di opposizione concernente la sopravvenuta estinzione della garanzia fideiussoria prestata dai soci della società cooperativa ****************, in forza del dettato normativo di cui alla legge 19 luglio 1993 n.237 (di conversione con modificazioni del decreto legge 20 maggio 1993 n.149), ********************* e ************************ (e, a seguito della morte di quest’ultimo, la sua erede universale, ***********************) hanno contestato il diritto dell’istituto di credito pignorante ( e procedente) a procedere ad esecuzione forzata per sopravvenuta liberazione ex lege dalla obbligazione fideiussoria, proponendo una vera e propria opposizione all’esecuzione. Il primo giudice non si è pronunciato specificamente su tale domanda formulata dai debitori esecutati, essendosi limitato ad affermare, tanto genericamente quanto erroneamente, che i germani ************* si erano costituiti tardivamente, aderendo alle conclusioni rassegnate dalle terze opponenti, sicchè le considerazioni svolte nei riguardi di queste ultime valevano anche nei confronti dei debitori esecutati. Vale solo la pena di rammentare che, alla stregua dell’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità, le opposizioni esecutive avanzate nel corso del procedimento esecutivo possono essere proposte senza l’osservanza delle forme stabilite dagli art.615 e 617 c.p.c., e quindi anche oralmente davanti al giudice dell’esecuzione ovvero mediante deposito di una comparsa o memoria in una udienza del processo esecutivo, essendo tali forme idonee al raggiungimento dello scopo, quando – come nella specie – tra le parti si sia instaurato il contraddittorio sull’oggetto dell’opposizione e la parte contro cui è proposta sia stata messa i condizione di difendersi (cfr., Cass. n.1544/80; n.4840/85; n.10187/98; n.10132/03; n.27162/06). Ritiene la Corte di dover rincorrere, nel caso di specie, all’applicazione del principio della “ragione più liquida”, ben consolidato nella giurisprudenza della Suprema Conte. In particolare, come la Sezioni Unite hanno avuto modo di chiarire, in ossequio al suddetto principio processuale – desumibile dagli art.24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una o più questioni pregiudiziali (Cass. civ., Sez. Unite, 08/05/2014, n.9936); infatti, il principio della “ragione più liquida”, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art.276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art.111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, 28/05/2014, n.12002). Tanto precisato, è convinzione del Collegio che appello proposto debba trovare accoglimento, dovendosi affermare l’inesistenza del diritto dell’attuale creditrice procedente, banca ********************(subentrata all’originario creditore, *******************) ad agire in executivis in danno dei debitori esecutati, per sopravvenuta liberazione di questi ultimi, quali soci della società cooperativa **************, dalle garanzie fideiussorie a suo tempo (luglio 1986) prestate in favore del banco ********************, in conseguenza diretta dell’entrata in vigore della legge n.237 del 19 luglio 1993 (di conversione del D.L. n.149/93), la quale, all’art.1, comma 1 bis, prevede che “le garanzie concesse, prima dell’entrata in vigore del presente decreto, dai soci di cooperative agricole, in favore delle cooperative stesse, di cui sia stata preventivamente accertata l’insolvenza, sono assunte a carico del bilancio dello Stato”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellata, si tratta di un vero e proprio accollo liberatorio ex lege dei soci (debitori garanti) nei confronti dei terzi creditori della cooperativa agricola dichiarata insolvente, che prescinde sia dalla dichiarazione di adesione all’accollo, ai sensi dell’art.1273 c.c., da parte dei creditori medesimi, sia dall’effettivo inserimento (peraltro, nella specie, intervenuto) degli aventi diritto nell’apposito elenco redatto dalla competente Amministrazione. Tale assunto trova riscontro nell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assunzione del debito da parte dello Stato – tenuto conto anche di quanto sancito dai decreti del Ministero delle Risorse Agricole e Forestali in data 2.2.1994 e 2.1.1995 di attuazione della norma, nei quali è fatto chiaro riferimento all’accollo di tali garanzia da parte dello Stato, con liberazione dei soci garanti – determina l’immediata liberazione ipso iure dei debitori originari, quale conseguenza del tutto conforme alla trasparente ratio legis, supportata dal tenore delle suddette norme secondarie, che è quella di elargire una provvidenza ai soci di cooperative agricole che abbiano prestato garanzia in favore delle stesse. Una chiara conferma di tale lettura si evince, del resto, dal disposto della legge n.388 del 2000, art.126, comma 3, a tenore del quale “l’intervento dello Stato, ai sensi del D.L. 20 maggio 1993, n.237, nei confronti di soci (…) che abbiano rilasciato garanzie, individualmente o in solido con altri soci di una stessa cooperativa, determina la liberazione di tutti i soci garanti”. Invero, come ha chiaramente evidenziato la Suprema Conte, la norma non parla di pagamento da parte dello Stato, ma di “intervento” dello stesso, specificamente connotandolo, attraverso il richiamo al d.l. n. 149 del 1993, art.1, comma 1 bis, in termini di mera assunzione del debito. Ne deriva che, per quanto concerne l’assunzione delle garanzie fideiussorie i questione da parte dello Stato, l’estinzione di tali garanzie a seguito dell’assunzione a carico del bilancio statale delle garanzie prestate dai soci si cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, ai sensi dell’art. I. n. 237 del 1993, costituisce – secondo l’insegnamento della Suprema Corte – un vero e proprio diritto soggettivo dei soci medesimi, che non può essere sottoposto a limitazioni di sorta, con la conseguenza che, per effetto della suddetta liberazione, il creditore del socio garante non è legittimato ad agire in revocatoria, né in executivis, nei confronti di quest’ultimo, il quale ha perduto la qualità di debitore (cfr., Cass. n.4014/2013; n.9670/2013; n.28225/2013; n.21713/15; n.9959/17). Alla stregua dei summenzionati rilievi, l’appello merita accoglimento, con la conseguenza che, in riforma dell’impugnata sentenza, l’opposizione esecutiva proposta dagli odierni appellati deve essere accolta. Ne discende, inevitabilmente, la nullità del precetto, del pignoramento e di tutti gli atti di esecuzione successivi delle due procedure esecutive riunite n.158/92 e n.53/06. All’accoglimento dell’appello consegue a condanna della società appellata alla restituzione, in favore degli appellanti, della somma di € 6.620,00, da questi ultimi versata alla controparte per le spese processuali liquidate dal primo giudice, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento al soddisfo. Le spese del doppio grado di giudizio vanno regolate secondo il criterio della soccombenza e devono, perciò, essere poste a carico dell’istituto di credito appellato, nella misura liquidata in dispositivo e con distrazione a favore dei difensori degli appellanti, dichiaratisi antistatari. Sulle richieste di estinzione delle procedure esecutive immobiliari riunite e di cancellazione dei pignoramenti dovrà provvedere il giudice dell’esecuzione. - P.Q.M. – La Corte di Appello di Bari – Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello, avverso la sentenza n.969 emessa dal Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, il 27 novembre / 2 dicembre 2014, proposto, con atto di citazione notificato il 27 febbraio 2015, da *********************************, in proprio e quale erede universale di ****************************, nel contraddittorio con l’appellata, banca ******************************, così decide: 1. Accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie l’opposizione esecutiva proposta dagli odierni appellanti, stante l’accertata inesistenza del diritto della società appellata a procedere ad esecuzione forzata nei confronti dei debitori esecutati, a seguito della estinzione ex lege della obbligazione fideiussoria dagli stessi assunta; 2. Condanna la società appellata a rifondere agli appellanti le spese processuali relative sia al giudizio di primo grado che al presente grado di giudizio, che si liquidano, rispettivamente, in € 11.150,00 (€ 808,00 per spese borsuali ed €8.610,00 a titolo di compreso), oltre al rimborso forfettario delle spese generali (15%) e agli oneri accessori come per legge, disponendone la distrazione a favore dei difensori degli appellanti. 3. Condanna la società appellata alla restituzione, in favore degli appellanti, della somma di € 6.620,00, incamerata per le spese processuali liquidate dal primo giudice, oltre agli interessi legati dalla data del pagamento al soddisfo. Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del 5 aprile 2019
Autore: GERARDO CONSIGLIO 29 mar, 2023
" Il Tribunale di Bari - Sezione III Civile - Il Giudice , dott.ssa Valeria Spagnoletti, letti gli atti e sentito il procuratore del ricorrente; a scioglimento della riserva assunta il 27/02/18; ha pronunciato la seguente ordinanza, nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c., recante il n. 11752/2017 R.G.A.C. in materia di "altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie"; tra Comune di Foggia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti ***********e Ministero della Giustizia , in persona del Ministro p.t.; Fatto e Diritto Con ricorso depositato in data 11/07/2017, il Comune di Foggia conveniva in giudizio il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, chiedendone la condanna in suo favore al pagamento della complessiva somma di € 71.050,004, oltre il risarcimento del danno pari al 5% del suindicato importo e agli interessi legali. Malgrado la rituale notifica del ricorso introduttivo, il Ministero della Giustizia non si costituiva, restando contumace. A fondamento della propria pretesa il ricorrente ha argomentato di avere diritto al pagamento dell'importo richiesto in quanto per errore trattenuto dal Ministero della Giustizia, trattandosi di somme versate nelle casse dell'ente a conclusione di una procedura esecutiva, ma da destinarsi al Comune di Foggia, in quanto unico titolare delle stesse. La vicenda è scaturita da un procedimento penale per il reato di peculato risalente al 1988 ************, nei confronti di un dipendente del Comune di Foggia, ****************************, appropriatosi dei ricavi giornalieri delle farmacie comunali per un totale di £ 114.934.000. Nel processo penale che ne era scaturito, si costituiva parte civile il Comune di Foggia che, per il tramite della Procura di Foggia, otteneva, alla stregua delle disposizioni allora vigenti (art. 189 c.p. e art. 616 c.p.p.) l'iscrizione di ipoteca legale su determinati beni immobili di proprietà dell'allora imputato per l'importo di £ 150.000.000, a garanzia del risarcimento del danno spettante, nonché delle spese del procedimento. Il giudizio penale di primo grado si concludeva con la condanna del **********alla pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede (sentenza Tribunale di Foggia del 30/03/1993 n.140). La sentenza del giudice di prime cure veniva riformata in sede di appello relativamente alla sola entità della pena inflitta, rimanendo intatta sulle statuizioni civili ( sent. Corte d'appello Bari, n. 43 del 30/05/1994). Con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per Cassazione promosso dall'imputato la pronuncia condannatoria diventava definitiva ed irrevocabile. Pertanto, il Comune di Foggia, sulla scorta del giudicato penale, in data 21/04/1993 conveniva il *********nel giudizio di quantificazione del danno patito dall'Ente in conseguenza della condotta penalmente rilevante del suo dipendente; il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 91 del 25/01/1997, condannava il ******** al pagamento della somma complessiva di £ 178.952.960, oltre interessi al 5% e spese di giudizio. Quest'ultima sentenza era annotata a margine dell'ipoteca legale precedentemente iscritta, sempre per il tramite della Procura della Repubblica di Foggia, che dava atto in data 11/01/2001 che l'istituto dell'ipoteca legale, oramai abrogato, continuava ad operare limitatamente alle ipoteche iscritte anteriormente all'entrata in vigore del nuovo c.p.p. Erano così instaurate due distinte procedure esecutiva- compartecipate sia dal Comune di Foggia- sia dalla Procura di Foggia, per il tramite della legittimata Agenzia delle Entrate finalizzate alla vendita del beni immobiliari del *******. La proc. n. 20/1990 si concludeva il 10/03/2008 con la dichiarazione di esecutività del progetto di distribuzione e l'autorizzazione all'emissione del relativo mandato di pagamento; in tale contesto, in data 16/05/2008 avveniva il versamento della somma pari a complessivi € 72.177,26- quale quota del ricavato della vendita immobiliare spettante in relazione al credito garantito dall'ipoteca originariamente iscritta su impulso della Procura di Foggia - in favore del Ministero della Giustizia. Tuttavia, come risulta dalla documentazione prodotta dal ricorrente, avente ad oggetto la serrata ed articolata interlocuzione del Comune di Foggia con l'Ufficio recupero crediti del Tribunale di Foggia ed il Ministero della Giustizia, la somma liquidata ricomprendeva non soltanto il credito per spese del procedimento e mantenimento in carcere del *********, ma anche il risarcimento del danno patito dal Comune in qualità di parte civile, egualmente accreditata alò Ministero della Giustizia. Dalla documentazione (cfr. in particolare docc. n. 26 e 34 in fascic. parte ricorrente) si evince, invero, che le spese di procedura e di mantenimento in carcere- riconducibili a "spese di giustizia" campionate ai n.ri 122360 e 122361 - ammontavano a complessivi € 1.187,28, mentre la restante parte dell'importo liquidato di € 72.177,26 era scrivibile alla diversa causale del "risarcimento danni alla parte civile", ossia nella specie il Comune di Foggia. Dagli atti si evince altresì che l'intera somma sia stata versata dal notaio delegato nella procedura esecutiva in un capitolo di bilancio del Ministero della Giustizia- Tribunale di Foggia e che la quota del Comune di Foggia, che il Ministero non aveva, dunque, titolo per trattenere, non sia stata versata all'Ente locale neppure in un momento successivo (cfr. doc.ti n.ri 20 e ss. in fascic. parte ricorrente). Il Ministero della Giustizia, benché correttamente evocato in giudizio, non si è costituito, ritenendo di nulla controdedurre rispetto alla pretesa attorea; ma va pure detto che dal copioso carteggio prodotto dal ricorrente si evince come il resistente non abbia mai contestato nel merito la richiesta di restituzione avanzata in via stragiudiziale della somma di € 70.917,07, limitandosi ad indicare il percorso da seguire per ottenere il rimborso e la documentazione da allegare (in particolare, assumendo che la procedura dovesse essere espletata dalla Direzione Provinciale del Ministero dell'Economia e delle Finanze, perché titolare di apposito capitolo di spesa a riguardo). Tuttavia, la trafila burocratica diligentemente intrapresa dal Comune di Foggia non sortiva gli effetti sperati, in quanto alla stato risulta ancora in corsa la "navette" della pratica tra un apparato e l'altro dell'Amministrazione centrale per l'individuazione del soggetto concretamente tenuto a dare corso al rimborso (cfr. ulteriore documentazione versata in atti dal ricorrente all'udienza del 27/12/2018, da cui si evince che il MEF (ministro economia e finanze n.d.r.) ha ulteriormente trasmesso la richiesta di rimborso al Ministero della Giustizia per gli adempimenti di competenza). Alla luce di tutto quanto sin qui esposto, ritiene il Giudicante che la domanda possa essere accolta, nei limiti della somma di € 70.917,07, importo da stimarsi spettante all'odierno ricorrente a titolo risarcitorio, detratto dall'ammontare complessivo dell'accredito disposto in favore del Ministero della Giustizia il quantum accertato dagli Uffici preposti come riconducibile alle spese di giustizia. La richiesta di pagamento avanzata dal Comune di Foggia nei confronti del Ministero della Giustizia si fonda, infatti, essenzialmente, sull'indebito incameramento da parte del Ministero dell'importo spettante al Comune di Foggia a titolo del risarcimento del danno da reato commesso in suo pregiudizio e dal tenore delle mssive in atti non residuano dubbi sulla spettanza della predetta somma al ricorrente, essendo stato opposto di volta in volta dal Comune istante dal suo interlocutore unicamente il difetto di competenza/legittimazione a provvedere in concreto al rimborso. Tuttavia, è sufficientemente documentato che l'importo accreditato su un capitolo di bilancio del Ministero, sotto la specifica causale "risarcimento danni alla parte civile", spetti, in realtà, detratte le spese di giustizia, al Comune di Foggia, nella sua indiscussa qualità di danneggiato dal commesso reato. La fattispecie descritta potrebbe essere ricondotta all'analoga ipotesi di pagamento al creditore apparente di cui all'art. 1189 c.c., il cui secondo comma espressamente dispone che "chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell'indebito". In forza di tanto, ex artt. 1189-2033 c.c., il Comune di Foggia ha diritto alla restituzione dell'importo acquisito "indebitamente" dal Ministero della Giustizia, nella misura, che può dirsi accertata in atti, di € 70.917,07 (v. in un caso simile Corte dei Conti sez. II 10/06/2008 n. 195). Non osta la circostanza, desumibile dal carteggio versato in atti, dell'assenza di uno specifico capitolo di spesa per i rimborsi in seno al bilancio ministeriale, posto che l'art. 68, comma 2 dell'istruzione sul Servizio di Tesoreria dello Stato stabilisce che " al rimborso delle somme erroneamente o indebitamente versate all'erario provvede l'Amministrazione che le ha acquisite, con le modalità previste per il pagamento delle spese dello Stato". La circolare dell'Ispettorato Generale di Finanza n. 65159 del 03/08/2016, in atti, specifica, che l'obbligo di rimborso delle somme erroneamente o indebitamente versate all'erario spetta all'Amministrazione che le ha acquisite, purché nel proprio stato di previsione sia presente un apposito capitolo di spesa. Detto in altri termini, l'obbligo restitutorio incombe sull'Amministrazione che ha conseguito l'indebita entità economica salvo il caso in cui l'ente pubblico illegittimamente beneficiato non contempli nel proprio bilancio un capitolo specifico relativo alla restituzione delle somme acquisite in via indebita. In tale ultima ipotesi, spetterà alle Ragionerie territoriali dello Stati provvedere al rimborso degli importi. Peraltro, dagli atti si evince che se il Ministero della Giustizia non presentava nel suo stato di previsione relativo agli anni dal 2015 al 2017 un apposito capitolo di spesa relativo al rimborso delle somme indebitamente accreditate, detto capitolo è stato introdotto nello stato di previsione relativo al triennio dal 2017 al 2019 (capitolo n.1458, cfr. nota del MEF del 16/08/2017 prodotta all'udienza del 27/02/2018). Alla stregua di quanto rilevato, il Ministero della Giustizia deve essere condannato al pagamento in restituzione della somma di € 70.917,07, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale del 11/07/2017 sino al saldo, avendo l'Amministrazione ricevuto in buona fede il pagamento. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. accoglie il ricorso per quanto di ragione e per l'effetto condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., al pagamento in favore del Comune di Foggia, in persona del Sindaco p.t., della somma di € 70.917,07, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, che liquida in € 413,97 per esborsi ed € 4.015,00 per compensi di Avvocato ex d.m. n. 55/14, oltre accessori come per legge. Bari, 9 aprile 2018- Ripubblicato con modifiche dalla redazione giornalistica il 25/06/2019 ed il 25/06/2020
Autore: GERARDO CONSIGLIO 29 mar, 2023
1. Su ricorso numero di registro generale 1844 del 2016, proposto da **********, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati ***********, con domicilio eletto presso lo studio *************** , con sede in Roma, via Barnaba Tortolini, 30 contro -L’Ente ***************, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12; - il Comune**********, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. ************, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. *********, in Roma, via Raffaele Caverni, 6; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo per la Puglia n. 1589/2015. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ente ****** e del Comune *********; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 il Cons. Silvia Martino; Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati ******************; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue FATTO e DIRITTO Il Consorzio ricorrente, promotore di un piano di lottizzazione per la realizzazione di un complesso turistico – ricettivo sul territorio dell’Isola di SanDomino dell’arcipelago delle Isole Tremitio, adiva in sede di ottempernza il TAR per la Puglia, Bari, n. 500 del 2011. Con tale pronuncia era stato annullato – per contraddittorietà, perplessità, difetto di istruttoria e di motivazione nonché per violazione dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991 – il nulla osta parziale reso sul piano di lottizzazione, nella parte in cui escludeva dall’atto di assenso i lotti 2,3,4,5,6,7,8. Il successivo reiterato diniego di nulla osta n. 156/U.T./2014, sarebbe stato quindi in contrasto con il giudicato perché: - aveva ad oggetto gli stessi comparti a suo tempo esclusi dal nulla osta annullato in parte qua della sentenza n.500/2011; - l’annullamento di quella parte del nulla osta che limitava i propri effetti solo ad alcuni lotti, con esclusione di altri, ne avrebbe comportato l’espansione degli effetti favorevoli anche ai lotti esclusi; - il potere autorizzatorio dell’Ente Parco si sarebbe consumato con il rilascio del nulla osta parziale successivamente divenuto integrale per effetto del giudicato. In subordine, richiamando il costante indirizzo giurisprudenziale ( Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 3/2013) che consente la concentrazione in un unico ricorso del rimedio dell’ottemperanza e in alternativa, del rimedio impugnatorio avverso lo stesso atto, il Consorzio chiedeva l’annullamento dei provvedimenti impugnati per plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere. 2. Nella resistenza del Comune di Isole Tremiti e dell’Ente Parco Nazionale del Gargano, il TAR ha emesso una sentenza parziale con cui ha : 1) respinto l’eccezione di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse; 2) respinto la domanda di declaratoria di nullità per violazione e/o elusione del giudicato; 3) rimesso il ricorso sul ruolo dell’udienza pubblica per la trattazione della domanda di annullamento. 3) Avverso la sentenza n. 1589 del 2015, è insorto il Consorzio Orto del Paradiso originario ricorrente, deducendo: I Erroneità ed ingiustizia della sentenza gravata per erroneità dell’interpretazione della sentenza definitiva della TAR Puglia, Bari,III, n. 500 del 2011, nonché per contrasto con i principi in tema di violazione ed elusione del giudicato, certezza dei rapporti giuridici, effettività della tutela giurisdizionale, imparzialità dell’azione amministrativa. Sostiene il Consorzio che l’Ente Parco ha reiterato il contenuto dispositivo del precedente atto del 2009, già annullato, e che per tale motivo il provvedimento sarebbe palesemente nullo avendo detto Ente, con il primo provvedimento consumato il potere. In ogni caso, tra le censure ritenute fondate dal TAR nella sentenza n. 500 del 2011, vi era quella relativa alla violazione dell’art. 13 della l. n. 394 del 1991 nella parte in cui l’Amministrazione aveva limitato il nulla osta solo ad alcuni comparti, senza prima di annullare in via di autotutela ( relativamente ai comparti per cui si era espresso negativamente) il silenzio assenso perfezionatosi sull’istanza del 10 agosto 2009. A sua volta il TAR in sede di ottemperanza, ha omesso di rilevare l’esistenza di un vincolo conformativo puntuale tale da comportare la nullità del reiterato diniego. 4. Si sono costituiti, per resistere, il Comune delle Isole Tremiti e l’Ente Parco Nazionale del Gargano ( quest’ultimo a mezzo dell’Avvocatura dello Stato). 5. Il Comune ha proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza di primo grado grado che ha respinto l’eccezione d’inammissibilità per sopravvenuta carenza d’interesse. Esso non ritiene particolarmente rilevante il fatto che, con delibera n. 7 del 22 febbraio 2013, non sia stata approvata la variante al PRG per l’adeguamento al PUTT/P, ovvero un atto che era funzionale alla realizzazione del Piano di cui si verte. Tale delibera è tuttora valida ed efficace in quanto mai impugnata. La civica Amministrazione evidenzia ancora che al momento in cui al Consorzio sollecitò all’Ente Parco una nuova determinazione ai fini della realizzazione del PdL, non fece alcun cenno a tale circostanza dando quindi ancora come valido ed esistente il parere paesaggistico favorevole espresso dalla Regione Puglia con la delibera di G.R. n. 471 del 2009. Quest’ultima però, nel frattempo, aveva tuttavia precisato la propria posizione con nota dell’Ufficio Atttuazione n. 2945 del 27 marzo 2015, nella quale aveva fatto rilevare come detto parere favorevole presupponesse l’approvazione della variante di adeguamento del PRG. Tale nota è stata impugnata dal Consorzio innanzi al TAR per la Puglia, con separato ricorso ( R.G. n. 816 del 2015). In ogni caso, a tutt’oggi, mancherebbe, tra gli assensi richiesti, proprio il parere favorevole della Regione. In sede incidentale, il Comune ha quindi specificamente dedotto: I Violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.; violazione dei principi in materia di sussistenza all’azione; falsa ed erronea qualificazione del Parere Paesaggistico ex delibera della Giunta Regionale Puglia 31 marzo 2009, n. 471 e Nota Ufficio Attuazione Pianificazione Paesaggistica Regione Puglia 27 marzo 2015; motivazione contraddittoria; error in judicando. A fronte delle argomentazioni del giudice di prime cure circa l’insussistenza di un rapporto di stretta presupposizione tra i procedimenti in esame ha evidenziato: i) che la stessa delibera di G.R. N. 471 del 2009 era intervenuta nella consapevolezza che la variante di adeguamento al PRG di adeguamento al PUTT/P fosse ancora in itinere; ii) che le prescrizioni contenute nel parere erano destinate a divenire operanti solo in caso di approvazione della suddetta variante ; iii) che il diniego di approvazione della variante avrebbe determinato la definitiva assentibilità dell’intervento esame. 6. In vista della camera di consiglio del 31 gennaio 2019, le parti hanno depositato memorie conclusionale e di replica. Il Consorzio ha fatto osservare che non vi è alcuna ragione per escludere che possa intervenire un nuovo parere favorevole della Giunta Regionale, proprio a seguito della rimozione del diniego inopinatamente reiterato dall’Ente Parco. Permarebbe comunque, a sostegno dell’interesse alla presente decisione, la possibilità di ottenere il risarcimento del danno ingiusto a seguito di tale illegittimo arresto procedimentale. Il Comune, dal canto suo, ha argomentato sia in merito all’inconfigurabilità della “consumazione” dei poteri dell’Ente Parco, sia in ordine all’inapplicabilità del silenzio – assenso ex art. 13 della l. n. 394 del 1991, in mancanza del Piano del Parco ovvero della variante al PRG, propedeutica all’approvazione del PdL. In ogni caso il fatto che il Consorzio abbia sollecitato una esplicita determinazione dell’Ente, ne evidenzierebbe l’acquiescenza alla legittima rinnovazione della funzione allo stesso attribuita dalla legge. Ha richiamato, infine, la giurisprudenza di questo Consiglio ( Adunanza Plenaria 24 maggio 2016, n. 9; sez. IV, 18 maggio 2017, n. 2350) secondo la quale la fattispecie di silenzio assenso di cui all’art.13 della l. n. 394 del 1991 riguarda esclusivamente specifici interventi di modificazione o trasformazione edilizia ma non già agli atti di programmazione e pianificazione urbanistica. In replica, il Consorzio ha richiamato i principi in materia di formazione del giudicato nonché in ordine alla funzione del giudicato di ottemperanza. Secondo il Comune invece, il fatto stesso che l’appellante confidi in future scelte della Regione, o del Comune, renderebbe evidente la carenza di attualità dell’interesse all’eventuale accoglimento del gravame. 7. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla camera di consiglio del 31 gennaio 2019. 8. Per ragion di ordine logico, occorre partire dall’esame del ricorso incidentale con il quale il Comune ******* ha impugnato il capo della sentenza del TAR che ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di ottemperanza per carenza di interesse. Al riguardo, sono tuttavia rimaste prive di idonea critica le argomentazioni del TAR secondo cui “l’art. 13 della l. 394/1991 nulla dice sulla sequenza dei provvedimenti autorizzativi di competenza di diverse Autorità necessari per l’abilitazione del piano di lottizzazione, né tanto meno che la mancata adozione di uno di essi sia d’ostacolo all’adozione degli altri o escluda l’interesse a conseguirli. Pertanto l’interesse del Consorzio ad ottenere anche uno solo di detti provvedimenti prescinde dalle sorti dei paralleli procedimenti avviati per conseguire gli altri, dovendosi in caso contrario – e paradossalmente – sempre escludere che sussista un interesse a ricorrere avverso il diniego eventualmente opposto all’istanza di rilascio del primo dei pareri o autorizzazioni se l’interessato non ha ancora chiesto o conseguito gli altri. Sotto altro indipendente profilo poi la nota regionale – che, rispondendo ad un quesito, evidenzia, come detto, la mancanza della variante al PRG e il venir meno del parere regionale che la presupopone esistente – in verità si limita ad esprimere un giudizio sulla immanenza di detto parere. Non lo ritira in autotutela, né lo sostituisce con un parere negativo – non disponendo all’evidenza del relativo potere – ma postula che esso non esista più per un non meglio precisato effetto estintivo riconducibile al diniego di adozione della variante al PRG. Ne consegue che si tratta di un atto endoprocedimentale del tutto inidoneo ad incidere sugli assetti precedenti come conformati e che il parere regionale a suo tempo rilasciato è tutt’ora produttivo di effetti”. A tali perspicue argomentazioni può solo aggiungersi che la circostanza che, allo stato, il Comune di ********* non abbia (ancora) approvato la variante di adeguamento al PUTT/P della Regione Puglia, non può formare oggetto di valutazione in seno al presente giudizio poiché essa attiene, a ben vedere, a poteri “ancora non esercitati” da parte dello stesso Comune, ovvero a quelli relativi alla definizione del distinto procedimento di approvazione del PdL adottato nel lontano 2004 ed arrestatosi proprio a causa del provvedimento del presente giudizio di ottemperanza. 9. Per quanto invece concerne l’appello principale, va anzitutto respinta l’argomentazione del Consorzio secondo cui l’Ente ***** avrebbe “consumato” il proprio potere con il primo provvedimento, annullato dal TAR nella parte limitativa del progetto di lottizzazione. Non trova infatti ingresso nel nostro ordinamento il principio del c.d. one shot per cui, a seguito dell’annullamento di un primo provvedimento di diniego, all’amministrazione è preclusa la reiterazione del provvedimento. Piuttosto, trova applicazione il principio del “one shot temperato”, secondo cui , dopo avere subito l’annullamento di un proprio atto, l’amministrazione può rinnovarlo una sola volta e quindi deve riesaminare l’affare nella sua interezza e senza potere in seguito “tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati” ( così espressamente Cons. Stato, sez. IV 25 marzo 2014, n. 1457; più di recente, sez III, 14 febbraio 2017, n.660, e TAR Toscana, sez. III, 2 febbraio 2018, n. 183). Nella fattispecie , è quindi corretto l’assunto del TAR secondo cui “la sentenza n. 500/2011, al cospetto di un provvedimento composto da una parte favorevole e una sfavorevole, ha annullato quest’ultima, senza conformare puntualmente la successiva eventuale azione amministrativa”, essendo spazio “nel vuoto conseguente all’effetto demolitorio dell’annullamento in esso pronunciato” per la riedizione del potere dell’Ente Parco di esprimersi sull’assentibilità dell’intervento edilizio in esame. Tuttavia, deve convenirsi con il Consorzio che il primo giudice ha omesso di rilevare l’intera portata del giudicato formatosi sulla sentenza n. 500 del 2011. Nella sentenza da ottemperare era infatti chiaramente statuito anche che “essendosi formato ex art. 13 l. 394/91 il silenzio assenso nel sessantesimo giorno dalla presentazione dell’istanza, l’operato dell’amministrazione resistente è palesemente illegittimo, giacchè per giurisprudenza specifica avrebbe potuto intervenire unicamente nell’esercizio del potere di annullamento attribuitole dall’art. 21 - nonies della l. 241/90, al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti”. Al riguardo, va poi decisamente respinta l’affermazione del Comune secondo cui la sentenza n. 500 del 2011 non recherebbe alcun accertamento in merito all’intervenuta formazione del silenzio- assenso sull’originaria istanza del Consorzio. Esso, è, infatti, non solo esplicito, come si è testè riportato, ma soprattutto costituisce l’indefettibile presupposto logico-giuridico della pronuncia demolitoria rientrando perciò a pieno titolo nel perimetro oggettivo del giudicato. Per la stessa ragione, sono altresì inconferenti le argomentazioni del Comune in ordine all’interpretazione dell’art. 13 della l. n. 349 del 1991. Né può ravvisarsi una qualche forma di “acquiescenza”alla violazione riscontrata dalla sentenza n. 500 del 2011 nel semplice fatto che il Consorzio abbia sollecitato all’Ente Parco l’adozione delle determinazioni conseguenti al pronunciamento originario del TAR. Si è già visto infatti che quest’ultimo aveva comunque esteso il proprio accertamento anche al merito del diniego opposto dall’Amministrazione sicché è naturale che il Consorzio abbia cercato di ottenere una presa di posizione esplicita dell’Ente Parco, maggiormente spendibile ai fini della definizione del procedimento di approvazione del piano di lottizzazione. Rimane tuttavia il fatto che il nuovo, reiterato diniego di nulla – osta non è stato preceduto dall’annullamento in autotutela del provvedimento formatosi per silentium. Tale circostanza comporta la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 500 del 2011 in quanto il nuovo diniego si pone, per tale profilo, in diretto contrasto con una precisa e puntuale statuizione del giudicie ( sul vizio in esame, cfr., ex plurimis, Cons. Stato sez. V, 30 ottobre 2018, n. 6175). 10. Da quanto testè argomentato, consegue: - la reiezione dell’appello incidentale; - l’accoglimento dell’apppello principale, e con esso, del ricorso in ottemperanza instaurato in primo grado. Inoltre , in base al disposto dell’art. 114, comma 4, lett. b), c.p.a.( riproduttivo dell’art. 21 septies della l. n. 241 del 1990) deve dichiararsi la nullità del provvedimento n. 156/U.T./2014 dell’Ente Parco *********. Infine, in ragione della peculiarità della vicenda, appare equo compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Seziona Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, così provvede: 1) respinge l’appello incidentale del Comune *********; 2) accoglie l’appello del Consorzio *********; 3) dichiara la nullità del provvedimento n. 156/U.T./2014 dell’ Ente Parco ************. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati: ******* Pubblicato a cura della redazione oggi 18/03/19 .
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